Il canto delle cicale

Sicilia, pomeriggio di un caldo giorno di agosto.

Nel silenzio della campagna sicula, quella colorata di arancio e giallo fino a perdersi all’orizzonte azzurro del mare, riecheggia il canto delle cicale. Quando penso all’estate, da piccolo e adesso da meno piccolo, tale suono mi risuona nella mente.

Il loro canto stridulo, emesso dai maschi come richiamo sessuale per la cicala-femmina, è l’inizio del loro ciclo vitale. Dopo l’accoppiamento poi la cicala-femmina posa le sue uova sui ramoscelli. Queste piccole uova, quando si schiuderanno, daranno vita alle larve che, appena nate, vanno a ripararsi sotto terra dove rimangono per anni. Questi insetti (le cicale) escono dal terreno una volta che sono pronte a scavare e riemergere.

Ciclo vitale a parte, le cicale sono famose per la loro inoperatività. questa traspare nella cultura popolare di ogni regione e in sicilia nel detto “Quannu la cicala canta, la fummicula suda; e quannu la fummìcula godi, la cicala mori.” (D’estate) quando la cicala canta, la formica suda; e (d’inverno) quando la formica gode, la cicala muore.

Un tempo non molto lontano nelle campagne, il cicaleccio accompagnava i mietitori nelle loro fatiche, facendoli meditare sull’ingiustizia che lì a poco avrebbero subito nella spartizione del raccolto col padrone. E adesso?

Forse simboleggiano un popolo, quello siciliano, che come da sempre aspetta qualcuno per mettersi al lavoro e nel frattempo, invece, muore in quell’immobilismo gattorpardiano. Forse la filosofia del “Calati juncu ca passa a china” è ancora un modo di vivere a metà tra l’inettitudine e la rassegnazione di fronte alle numerose problematiche della terra patria delle cicale?

MB

 

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