25 anni fa

Domani, 23 maggio 2017, sarà il 25esimo anniversario della strage di Capaci che pose fine alla vita del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

Quel giorno è così tristemente noto a tutti ma soprattutto a noi siciliani perché si vide perire degli uomini e delle donne cosiddetti dello stato sotto la mano mafiosa. Ma da quel sentimento di sconforto umano e rassegnazione personale nacque la riscossa della società civile isolana. La voglia di una normalità così di una risposta globale dello stato e dei suoi cittadini spinsero e diedero forza alla lotta alla mafia non come prerogativa di pochi ma di tutti. Lo shock del tritolo esploso, basterebbe chiedere a qualsiasi siciliano cosa ricordi di quel giorno e ti saprà dire tutto, dove si trovava, cosa stesse facendo, si tramutò in coscienza civica e passione. Il 23 maggio dell 1992 e il 1992, anno horribilis per la politica e anno di tensione, divennero lo spartiacque tra un modo di vivere la legalità e la lotta al fenomeno mafioso.

Il prima era era quello delle lettere al Giornale di Sicilia scritte dai vicini di casa di Giovanni Falcone (in via Notarbartolo, dove ora c’è «l’albero Falcone») che nell’aprile 1985 lamentavano il fastidio delle sirene e il timore che un attentato potesse coinvolgerli. C’erano gli articoli di Vincenzo Vitale, Vincenzo Geraci, Lino Iannuzzi, Guido Lo Porto, Salvatore Scarpino e Ombretta Fumagalli Carulli (Giornale di Sicilia, Giornale, Il Roma, Il Sabato) che in tutti i modi possibili attaccarono il maxiprocesso che dal febbraio 1986 si celebrò nell’aula bunker di Palermo.

Il dopo è la storia scritta da un impegno civile che anno dopo anno si rinnova, è l’impegno collettivo di tutti, è la storia degli insegnanti dell’istituto comprensivo Falcone e Borsellino che strappano dai pericoli della strada i ragazzi dello Zen (popolare quartiere di Palermo), è l’attenzione a dotare tutti i futuri dirigenti dell’Italia del domani di quei anticorpi contro ogni forma di illegalità. Il dopo però ancora non è completo e tanto c’è da scrivere insieme. Il dopo dovrebbe essere l’attenzione verso i giovani e la triste realtà della disoccupazione, il prendersi cura del diverso e offrirgli una possibilità, il dopo dovrebbe essere porre le basi per una società aperta e della condivisione dove tutti possa contribuire agli altri nel rispetto reciproco.

Forse sarà vero che il potere giudiziario e legislativo hanno come loro prerogativa la lotta all’illegalità e la tutela della comunità ma a noi spetta il più difficile dei ruoli educare alla vita e all’amore e non all’egoismo che ci offusca nel nostro vivere quotidiano. La vera lezione di Falcone, Borsellino e di tutti coloro che nel pensare ad una terra bellissima libera sono caduti per mano mafiosa è quello di vivere nella quotidianità la legalità senza troppe manifestazioni (auto)celebrative.

Mario Bongiovanni, il 23 Maggio di venticinque anni fa alle 17:58 mi trovavo sul tavolo della cucina di casa e aspettavo il biberon.

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